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In che direzione va il mondo dell’arte secondo Nicola Ricciardi

News, Osservatorio, Interviste — 26 gennaio 2023

Una lunga chiacchierata con il direttore di miart, che per l’edizione di 2023 propone un’incursione sul concetto di Crescendo.

Nicola Ricciardi, classe 1985, è curatore e critico d’arte contemporanea dalla formazione internazionale. È stato direttore artistico delle Officine Grandi Riparazioni di Torino (le OGR) e dal 2021 è al timone di miart, anno in cui la fiera d’arte moderna e contemporanea di Milano ha esplorato il tema dello “smantellamento del silenzio” per poi proseguire, l’anno successivo, con “primo movimento”. Per il 2023, forte dei risultati più che positivi ottenuti, miart prosegue la sua traiettoria nel segno delle metafore musicali, questa volta concentrandosi attorno al concetto di Crescendo. I numeri danno le dimensioni degli sforzi e dei risultati ottenuti: 169 gallerie presenti provenienti da 27 Paesi, con una partecipazione straniera del 40%. La presentazione di questa edizione, in onda dal 14 al 16 aprile, è stata l’occasione per incontrare Nicola Ricciardi per una ricognizione a 360 gradi sul mondo dell’arte e per provare a comprendere come l’universo fieristico stia evolvendo, tra sfide e opportunità.

La parola d’ordine di Miart 2023 è Crescendo, sottolinea la volontà della fiera di proseguire il proprio percorso di crescita oltre il 2023, verso il futuro. Come hai scelto questa metafora presa in prestito dal mondo musicale?

È il terzo anno che focalizzo la mia attenzione su questo tema. Nel 2021, quando sono arrivato, miart non aveva la forza che ha oggi di attrarre pubblico: c’era una sorta di vuoto assordante. Per romperlo siamo partiti proprio dal titolo di una poesia che parla di musica, Dismantling the Silence, di Charles Simic, per costruire l’identità del progetto insieme a Studio Folder, ragionando in quel caso solo sul lettering. Dopo questa esperienza, nel 2022 ho scelto un’altra metafora mutuata dalla musica: Primo Movimento, ovvero l’attacco di qualsiasi sinfonia. Primo Movimento era sia l’inizio di una nuova partitura ma anche l’idea di ripartenza, la volontà appunto di rimettersi in moto. La campagna, dal punto di vista visivo, si è concentrata su una singola persona che si contorceva. Nel 2023 abbiamo ricevuto il doppio delle application e un interesse maggiore da parte dei nostri stakeholder - collezionisti, curatori, direttori di museo - con grande anticipo. Dunque da Primo Movimento siamo passati a Crescendo, un’espressione che si riferisce, anche in inglese, all’aumento graduale dell’intensità del suono, ma che in relazione alla fiera indica la crescita di partecipazione e di pubblico riscontrata nelle precedenti due edizioni e il desiderio di continuare questa traiettoria ascensionale oltre il 2023.

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Per l’edizione 2023 Miart punta sull’internazionalità, con 40% degli espositori provenienti dall’estero. Quanto conta per una fiera avere vocazione internazionale?

È un punto centrale, ed è stato fondamentale riuscire in questi anni a richiamare espositori dall’estero. Nonostante non si tratti di una fiera giovanissima, fino al 2014 miart non aveva la forza attrattiva che è riuscita a costruirsi negli anni a venire: fino a quel momento nessuna galleria di rilievo prendeva parte alla manifestazione. Il contributo di Vincenzo De Bellis è stato fondamentale: è riuscito a mettere in atto una piccola rivoluzione puntando su gallerie riconosciute internazionalmente, che rappresentano un elemento attrattivo importante in grado di richiamare a loro volta collezionisti, curatori e direttori di musei. La traiettoria di Vincenzo De Bellis è stata ascensionale, subito dopo il testimone è passato ad Alessandro Rabottini che ha proseguito fino al 2019, anno in cui miart poteva contare su di un nucleo composto da alcune delle più importanti gallerie a livello mondiale. Il Covid ha inevitabilmente cancellato tutte le fiere d’arte per un anno e quando si è ripartiti il settore era quanto mai fragile e ancor più competitivo. In questi tre anni tuttavia miart ha saputo ritagliarsi uno spazio importante nel calendario delle fiere internazionali, e le gallerie più prestigiose oggi ne riconoscono nuovamente il valore.

Cosa spinge gallerie di primo piano a essere presenti in fiera oggi?

Una galleria cerca in primis un pubblico interessante e nel caso di Milano l’offerta è particolarmente vivace. Oggi più che mai le fiere forti sono ospitate da città dinamiche e attrattive. Milano è in grado di offrire energia, di una vibe che è unica nel suo genere: il collezionista viene anche per questo, per costruire una rete di relazioni e non solo per acquistare opere. Milano è attrattiva perché vanta una proposta culinaria, di moda e di design quasi unica al mondo. Non è un caso che nell’ultimo anno e mezzo gallerie come Michel Rein, Gregor Staiger, Peres Projects, Ciaccia Levi abbiano aperto una sede in città, è una cosa senza precedenti. Il secondo motivo è dato dal fatto che  nel nostro settore il digitale non funziona, nel senso che non può sopperire l’assenza di un evento fisico. Grandi fiere come Art Basel e Frieze, con l’impiego di risorse importanti, hanno dimostrato che non è possibile costruire piattaforme online in grado di sostituire l’esperienza fisica. Così, lentamente ma in modo incontrovertibile, è tornata una gran voglia di calcare i corridoi di una fiera.

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A proposito di futuro, quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?

La parola Crescendo non è un traguardo ma una traiettoria, mi piace dire che miart 2023 nasce nell’ottobre del 2020. Siamo partiti da un’idea di progettualità, costruendo in prima battuta le fondamenta e poi tutto il resto, per dare un’idea di prospettiva. E credo che ci sia ancora molto lavoro da fare per continuare in questa direzione. In questi due anni ho lavorato molto sull’eredità di Vincenzo de Bellis prima e Alessandro Rabottini poi; la storia è molto importante anche a livello di contenuti ed è per questo che ho insistito molto sull’abbattimento della distinzione tra classico e contemporaneo. Ho voluto far cadere questa cortina di ferro che delimitava due mondi che prima stentavano a comunicare e interagire, anche a livello estetico, per produrre permeabilità e un ritorno positivo per entrambi gli interlocutori. Dal 2022 tutte le opere sono allestite in un’unica sezione, un valore aggiunto nonché una opportunità di business sia per gli espositori che per i collezionisti.

Per l’identità visiva ti sei affidato a Cabinet Milano. Come è nato questo progetto?

È il secondo anno che collaboriamo con Rossana Passalacqua e Francesco Valtolina. Il progetto è nato a partire da una serie di confronti che hanno dato vita a un risultato inaspettato. L’idea è stata quella di tradurre il concept di Crescendo attraverso la voce, e per farlo hanno coinvolto due fotografe d'eccezione, Philippine Chaumonte e Agathe Zaerpour, che a loro volta hanno ritratto una serie di ragazze e donne in movimento che gesticolano, fischiano, urlano.

L'importanza della relazione con la città di Milano è data anche da collaborazioni come quella con La Triennale. Quanto conta per Miart costruire sinergie di questo tipo?

L’idea originaria di costruire sinergie forti e strutturata è stata nuovamente di Vincenzo de Bellis.  Il 2015 è stato l’anno in cui Milano ha avuto uno scatto in avanti, grazie a una serie di investimenti nell’ambito di EXPO che hanno trasformato anche lo scenario dell’arte, soprattutto contemporanea. È stato per esempio l’anno in cui ha aperto Fondazione Prada e in cui la città ha avuto una crescita esponenziale. Milano è da sempre stata molto legata ai mondi della moda e del design, e in quel momento è diventata un riferimento anche per l’arte, sottraendo lo scettro a Torino. La percezione è dunque cambiata molto anche dall’estero, Milano è vista come una città del contemporaneo, perché è in grado di costruire quel palinsesto di attività che prende il nome di Milano Art Week, che è costruito a quattro mani proprio da miart e dal Comune. Qui ho riscontrato la volontà di sedersi allo stesso tavolo, sia da parte di istituzioni pubbliche che private: la sinergia è data una comunione di intenti tangibile, proprio perché l’obiettivo è quello di rafforzare e alzare il livello di attrattività della città. C’è un aspetto unico che caratterizza Milano, ovvero il fatto che anche potenziali competitor sono interessati a collaborare, fare sistema, e non è qualcosa di scontato. La mia idea di miart non è soltanto quella di contenitore, ma un generatore di progettualità per restituire valore alla città.

Quello del collezionismo, come pratica culturale, è un tema trasversale nell'arte così come nel design. Come si sta muovendo e come sta cambiando il collezionismo in Italia?

Esistono naturalmente della macro-tendenze, quella più evidente è che il mondo del collezionismo è particolarmente orientato sulla pittura, sia storica che contemporanea. Se circa sei anni fa c’era grande attenzione nei confronti di installazioni e video, in questo momento c’è un’ampia fetta di mercato interessata alla tela. Le ragioni sono storiche ma anche pratiche: la pittura è un medium sicuro anche in tempi di crisi, semplice anche sul fronte conservazione; inoltre la pittura vive di ondate, non solo di interesse ma anche di capacità degli artisti di produrre opere di valore. Anche per la fotografia è un discreto momento, soprattutto per quella d’autore, ma che non è paragonabile all’attenzione che sta riscontrando la pittura, per certi versi anche rispetto alla sua speculazione commerciale. Questo interesse rinnovato è qualcosa che va in controtendenza rispetto al boom del digitale di cui si parla molto. Stiamo riscontrando un ritorno al voler vedere, essere presenti, una sorta di supercompensazione rispetto alla grande abbuffata di digitale degli ultimi anni. Personalmente sono felice di questa svolta e del fatto che a miart non sia presente la bolla speculativa degli NFTs.



© Fuorisalone.it — Riproduzione riservata. — Pubblicato il 26 gennaio 2023