Un’intervista all’artista che ha realizzato una serie di installazioni e opere che attenuano i confini tra arte e funzione
Acclamato per la trasformazione di materiali comuni come alluminio, bronzo e acciaio in esperienze artistiche, Shlomo Harush (1961) ha sperimentato vari media per creare un’arte trasformativa e multidisciplinare che rappresenta la condizione umana nel suo stato di metamorfosi perpetua. L’artista di origine israelo-americano evidenzia il ruolo centrale del materiale con forme che sono ingenue, primitive, familiari e senza tempo. Per la mostra milanese “Please do not sit” - allestita presso Nilufar, in via della Spiga 32 - Shlomo ha creato una serie di installazioni e opere che attenuano i confini tra arte e funzione, tra disegno bidimensionale e scultura tridimensionale e tra parole, idee e materiale. Gli abbiamo fatto qualche domanda.
Photo courtesy by Filippo Pincolini
Qual è stata l'ispirazione principale della mostra Please Do Not Sit?
Nella mia mente ci sono così tante opere che aspettano solo di essere create. Sono parte di ciò che sono, della mia identità, giorno dopo giorno. Vengono concepite non come singole idee complete, ma nascono da un continuo adattamento di pensieri che si susseguono per giorni, settimane, mesi e talvolta anni. Poi, un giorno, si presenta il momento giusto per realizzarle. La mostra “Please Do Not Sit” presso la galleria Nilufar è l’incarnazione di molti anni di pensieri, confluiti in un unico progetto. Un unico contenitore, dove la sfida principale è stata quella di permettere a ogni opera di stare in piedi da sola, pur facendo parte di qualcosa di più grande, che convive nello spazio della galleria - creando qualcosa di totalmente innovativo. Nelle mie opere mescolo soggetti e oggetti quotidiani, sculture, disegni tridimensionali e fotografie, manipolandoli per passare dall’archetipo a nuovi e inaspettati emblemi. Attraverso oggetti funzionali, le sculture possono svilupparsi in una relazione più profonda. Un’interazione diversa da quella che si può sperimentare con un disegno o un dipinto, o anche con altre forme di scultura meno funzionali. La si tocca, la si sente, la si usa. Non sempre, ma spesso. Attraverso segni, incisioni e tatuaggi testuali, cerco di migliorare non solo il rapporto visivo, ma anche la sensazione dell’opera d’arte. Da una connessione intellettuale e visiva, l’opera diventa fisica. In questa mostra combino più linguaggi, lavorando con leghe di rame e ottone per trasformare oggetti comuni in sculture e scolpendo sincronicamente questi oggetti in disegni. I materiali apportano colore e calore, riflettendo la luce in modo diverso. In alcuni casi, le sculture vengono tatuate con parole e disegni. Pensieri che passano nella mia mente, mentre lavoro con la sua personalità. Questo materiale tatuato manifesta il senso di una pelle. Passo da una massa solida di rame a una figura trasparente in filo d'ottone. Permetto alla luce di disegnare la sua immagine proiettata sulla parete o sul pavimento, fornendo infinite prospettive, che si evolvono in ogni singolo momento.
Photo courtesy by Filippo Pincolini
Una collaborazione è sempre una conversazione tra due identità: come si fonde la sua visione estetica con l'identità di Nilufar?
In qualsiasi mostra, una forte relazione tra l’artista e la galleria è di fondamentale importanza. Alla fine, forse, si realizzerebbero comunque le stesse opere d’arte, ma ogni installazione di quelle stesse opere esposte in gallerie diverse fornirebbe interpretazioni molto diverse. L’installazione “Please Do Not Sit” della galleria Nilufar è anche il risultato del suo spazio. È l’interazione tra un'opera e l'altra. Tra un linguaggio artistico e un altro - le opere e lo spazio - le opere e la strada e le persone che passano fuori. Il mio rapporto con Nina Yashar, fondatrice e proprietaria della galleria Nilufar, è iniziato 18 anni fa e, fin dall'inizio, ho ammirato molto il suo coraggio di sperimentare e superare i confini tra vintage e contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda la funzionalità e l'arte. Il dialogo tra me e Nina, per molti versi, ha portato a questa mostra. Una piattaforma per comunicare questa complessa interrelazione tra funzionalità ed espressione artistica. Un'installazione, come questa, fornisce una prospettiva diversa alle opere d'arte, spingendone i confini. È il risultato del forte terreno comune che condivido con Nina, e lo spazio della galleria è un riflesso della sua volontà e del suo spirito guida. La galleria non è uno spazio bianco e vuoto, ma ha un suo carattere, una sensazione, un'illuminazione dall'interno e dall'esterno, un rapporto tra le aree, un movimento e uno scopo. Ha una lunga storia, in via della Spiga, dove ogni evento artistico e ogni esperimento hanno lasciato il segno nello spazio. Tutto ciò influisce sull'installazione e sull’esperienza che si può provare. La conversazione non è solo “io e lei”, o anche “io e il suo spazio”: è una relazione complessa tra tutti e tre gli elementi. Come artista, dovete affrontare tutto questo, accoglierlo e trovare un modo per parlarci. Trovare il modo di entrare nello spazio con le vostre opere d'arte e, allo stesso tempo, trovare un modo per entrare nel suo mondo. Questo dialogo, tra “me e lei” e “me e il suo spazio”, crea qualcosa di unico. È questa la mostra: una conversazione speciale tra arte e funzione.
Photo courtesy by Filippo Pincolini
Può parlarci del processo creativo e delle sfide che ha affrontato per creare questi pezzi unici?
Nella mia arte, sebbene la parte intellettuale del pensare o del creare abbia sempre una forte presenza, gli sforzi fisici con cui creo sono fondamentali per il mio processo e per il mio modo di comunicare. Do forma ai miei pensieri che si traducono in opere d'arte, ma in una mostra come questa alla galleria Nilufar, la sfida importante è creare qualcosa di completo. Dove ogni opera parla all'altra e le opere comunicano con lo spazio della galleria. Una mostra è un'idea singola che comunica come un'opera unica, anche se composta da numerose opere. Abbraccia lo spazio e ne diventa parte integrante. Lavorare con il metallo ha un impatto diverso. Il dialogo con il materiale è estremamente fisico. A differenza di altri mezzi, con il metallo bisogna tenere conto dello sforzo e della risposta fisica del materiale. Mi esprimo attraverso questa potente interazione tra l'artista e il materiale, plasmando la sua forma con i miei pensieri. Quando lavoro con il metallo, cerco di seguirne l'essenza - chiedendogli di accettare la mia espressione - senza dominarlo. Cerco il rapporto tra lo sforzo fisico e la creatività intellettuale.