Da Beirut a Milano: David Raffoul e Nicolas Moussallem si stanno affermando come una delle voci più interessanti del design contemporaneo
Tutto, per loro, parte da Beirut: una città fatta di contrasti, sovrapposizioni, memorie e ripartenze. È lì che David Raffoul e Nicolas Moussallem si incontrano nel 2006, all’Accademia Libanese di Belle Arti. Nel 2011 fondano lo studio David/Nicolas e, dopo un master alla Scuola Politecnica di Design di Milano aprono una seconda sede nella capitale meneghina portando nel design italiano uno sguardo che non cerca l’armonia, ma un equilibrio in continua tensione: tra intuizione e rigore, immaginazione e struttura. Nel frattempo, aprono una terza sede a San Francisco. Il loro modo di progettare somiglia alla loro città d’origine: stratificato, resistente, capace di rinnovarsi senza cancellare le tracce. La loro estetica attinge alla tradizione del design italiano, al saper fare artigianale, ma anche all’architettura vernacolare mediterranea, alla musica elettronica, alla fotografia. Negli ultimi dieci anni hanno collaborato con realtà come Tacchini, Pierre Frey, cc-tapis e Moooi, ed esposto i loro lavori in gallerie tra cui Nilufar Gallery e Carpenters Workshop Gallery. Il loro lavoro sulla materia - dalle boiserie intagliate a mano della collezione Supernova per Carpenters Workshop Gallery ai tavoli in travertino incisi con segni in ottone - dichiara un approccio in cui l’artigianato non è decorazione ma struttura culturale. Abbiamo parlato con David e Nicolas di identità, geografie creative, Beirut come matrice invisibile e Milano come piattaforma di confronto.
Come vi dividete tra Beirut e Milano? Cosa rappresentano per voi le due città e come si inserisce San Francisco in questo equilibrio?
Milano è la nostra base: qui si trova il nostro team centrale e qui si sviluppa qui la maggior parte delle nostre collaborazioni. Ma Beirut resta una parte essenziale del nostro lavoro: lì abbiamo ancora uno studio e torniamo regolarmente. Sia l’Italia che il Libano sono fondamentali per la nostra produzione: prototipiamo e realizziamo progetti in entrambi i luoghi. San Francisco rappresenta invece la crescita della nostra presenza negli USA, dove un membro del nostro team segue i vari progetti in corso.
Cosa significa nascere in una città come Beirut? Quanto si riflette nel vostro modo di progettare?
Nascere a Beirut è, per molti versi, una sfida. Cresci in mezzo ai contrasti: proporzioni diverse, ritmi irregolari, un caos di fondo, ma anche momenti di autentica raffinatezza. Questa dualità ha segnato profondamente il nostro linguaggio progettuale. Forse proprio per questo siamo diventati ossessionati da proporzioni, equilibrio, cura del dettaglio - quasi come se fosse un modo per cercare di dare ordine all’ambiente da cui proveniamo. Beirut è una città che non si può spiegare, va vissuta. La nostra identità è in continua evoluzione: nasce da ciò che abbiamo ereditato da Beirut e si trasforma costantemente attraverso ciò che incontriamo nel mondo.
Come vedete oggi la scena creativa libanese?
La scena creativa libanese è forte e sta evolvendo in una direzione molto promettente. Si percepisce una vera energia, un desiderio di crescere, di superare i limiti, di produrre localmente nonostante le difficoltà e di dare rilevanza internazionale al design libanese. Ciò che colpisce è anche lo scambio costante tra artisti, designer, architetti: c’è la volontà condivisa di spingersi avanti, di sostenersi a vicenda e costruire qualcosa di significativo insieme.
Qual è la vostra cifra stilistica? In cosa, secondo voi, siete riconoscibili?
Quello che più ci definisce è il dialogo costante tra i tempi. Guardiamo spesso al passato, lo reinterpretiamo attraverso il nostro sguardo contemporaneo e proviamo a proiettarlo in qualcosa che risulti senza tempo, o persino un po’ futuristico. Negli anni, ciò che è diventato più rappresentativo del nostro lavoro è la ricerca sulle boiserie. I sistemi che abbiamo sviluppato per rivestire le pareti, il modo in cui integriamo materiali, texture e proporzioni nelle superfici architettoniche è come se fosse diventato un linguaggio autonomo, che evolve con ogni progetto.
Milano: quando è entrata nel vostro percorso e cosa ha rappresentato? Una scelta strategica o un approdo naturale?
Milano è entrata nel nostro percorso quando ci siamo trasferiti nel 2011 per il Master. Quello è stato il vero inizio. In quel periodo abbiamo incontrato persone che sono ancora oggi amici stretti e collaboratori. Da allora c’è sempre stato un continuo andare e venire tra Beirut e Milano. Viaggiavamo spesso, restavamo connessi a entrambe le città e, col tempo, è diventato chiaro che Milano sarebbe stata la nostra base. E lo è ancora oggi. Ci piace il fatto che Milano non si riveli subito: non è una città che ti viene incontro, devi entrarci in relazione, osservare i dettagli, l’architettura, l’atmosfera. Non è per tutti: ed è proprio questo a renderla speciale.
A cosa state lavorando?
In questo momento stiamo lavorando su diversi fronti. Presenteremo una nuova installazione con Buccellati a Downtown Design Dubai, in programma dal 5 al 9 novembre, e abbiamo appena completato la biblioteca e la Saddle Workshop, lo spazio dedicato alla manifattura delle selle, per “ADREA”, la nuova Royal Equestrian School di Abu Dhabi. Stiamo anche progettando residenze private a Dubai, Beirut, Milano e Parigi, e continuando a espandere a livello internazionale la nostra linea di boiserie. Parallelamente stiamo sviluppando nuovi pezzi di arredo in collaborazione con diversi brand.
Vi vedremo alla Milano Design Week?
Assolutamente sì. Presenteremo diversi progetti, tra cui un nuovo prodotto con un brand che non possiamo ancora rivelare, e una nuova collaborazione con Nilufar e de Gournay. Stiamo preparando anche qualcosa di speciale nel nostro studio di Milano…Quindi sì, ci saremo sicuramente!
Il tema di Fuorisalone 2026 sarà “ESSERE PROGETTO”. Non “fare un progetto”, ma Essere Progetto: vivere nel processo, non solo nella forma finale. Se pensate al vostro lavoro in questi termini, cosa significa per voi?
Per noi “Essere Progetto” significa essere autentici. Ogni cosa che disegniamo è un’estensione diretta di ciò che abbiamo nella nostra mente: pensieri, ossessioni, modo di vedere il mondo. Non si tratta di creare distanza tra noi e il lavoro, cioè ciò che facciamo, al contrario, invitiamo le persone a conoscerci attraverso ciò che realizziamo. In questo senso, il progetto siamo noi.



